I
L’interminabile tragitto in
autobus, dalle 14.00 alle 16.30, con il Madrid-Salamanca Express, sotto il sole
cocente di Spagna mi ha dato la possibilità di riflettere sugli ultimi
frenetici giorni di preparativi, saluti, impegni. Giorni riempiti di tutto
purché niente e nessuno mi facesse desistere dalla mia partenza. Neppure un
istante ero rimasta sola con me stessa a pensare. Troppo rischioso: avrei
valutato razionalmente la cosa, avrei ceduto ai sensi di colpa, alla richiesta
di mia madre, di mia nonna di restare accanto a loro. Ogni sera ero più stanca
della precedente cosicché mi addormentavo senza prendere coscienza della mia
incoscienza.
Ed eccomi qua! Era una Spagna
sconosciuta quella che appariva al mio sguardo attraverso i vetri dell'autobus,
così spoglia, desertica, senza città, né case… Di quel giallo settembrino dei
campi di grano mietuto, delle radure castigliane, pascolo dei tori de lidia.
Ben diversi erano i ricordi
catalani di Barcellona, dove ero stata ospite sei mesi prima di mia cugina che
studiava lì: il porto, le ardite architetture della Sagrada Familia, Parc Guell, Casa Batlò, così avanguardiste
da far dimenticare il carattere nazionale.
Riconobbi la Cattedrale di
Salamanca in lontananza: era proprio come nel libro che mi ero procurata: così
maestosa e imponente, dominava dall'alto i tetti del casco antiguo.
Prima di partire, nel nostro ultimo
incontro a Bologna, Anabel mi consegnò con fiducia le chiavi dell'appartamento
salmantino in calle Alfonso de Castro che condivideva con altre due
studentesse canarie, dove sarebbe dovuta tornare a ottobre e dove per mia
fortuna si era liberata una stanza. La via non era nota al tassista, che subito
sbagliò strada.
Arrivata alla
porta, mi prese un gran batticuore. Al citofono dissi solo:
<Soy la
chica italiana>, animata di buona volontà Salii. Non mi era stato
possibile avvertire le future coinquiline del mio arrivo, visto che in casa
loro non c'era il telefono. Mi guardarono come fossi un fantasma con tanto di
zaino.
Grazie a Dio ce l’avevo
fatta, ma il magone mi saliva in gola. Non potevo comunicare! Non capivo niente… ma cosa avevo fatto a partire?
Consolante
era il fatto che Isa, Maria e Gustavo, il suo ragazzo, erano proprio come me li
aveva descritti Anabel. Erano loro i miei nuovi compagni di avventura.
Maria e Isa
erano canarie dunque il loro castigliano presentava un accento più soave e ogni
parola che pronunciavano era aspirata e troncata dalla loro pronuncia. La loro
carnagione era olivastra e i capelli e gli occhi neri. Isa era un po' robusta e
con un naso a patatina, studiava giurisprudenza ma ad ogni esame era mal di
pancia e dissenteria per giorni. La sua sensibilità andava di pari passo con un
atteggiamento inizialmente introverso e timido.
Maria era più
esuberante, rumorosa, chiacchierona: amava essere al centro dell'attenzione e
fare il clown. Si comportava in modo talvolta prepotente e da maschiaccio anche
con il fidanzato Gustavo, più accomodante e quasi sottomesso. Lui, studente di
ingegneria, era castigliano puro di Leon anche se, contrariamente a tutti gli
stereotipi del maschio spagnolo, era biondo con pelle e occhi chiari. Comunque
si presentarono tutti disponibili e simpatici nei miei confronti, con una certa
curiosità per la novità di avere una coinquilina italiana.
Dopo una
buona nottata di sonno, mi alzai decisa ad esplorare la città che avrei abitato
per alcuni mesi. Come mio solito, preferii il mio senso di
orientamento all’aiuto della mappa. Così girovagai senza fretta fino a Gran
Via e per la calle San Pablo giunsi alla chiesa convento di San
Esteban. La facciata era scolpita a sbalzo nella pietra rosata salmantina,
come un libro miniato, come gli argenti giudei, trasmetteva all’occhio pur distratto tutta la drammaticità del messaggio
cristiano nella maestosità dell’opera.
Annesso alla chiesa vi era un chiostro, un museo e il convento.
Ritrovai poi
la cattedrale e, proprio di fronte ad essa scorsi per la prima volta la Plaza
de Anaya con il palazzo napoleonico sede della facoltà di Filologia. Ricordando
le parole di Anabel riconobbi la scalinata della facoltà, sempre gremita di
studenti che leggevano, suonavano, cantavano o semplicemente approfittavano dei
favori del sole.
Tornai all’appartamento.
Non avevo visto la Plaza Mayor, vanto nazionale e Patrimonio de la
humanidad. I miei compagni si burlarono di me non poco, in quanto
ero riuscita a percorrere chilometri in senso circolare senza mai attraversare
la plaza, centro della città e della vita sociale dei salmantini. In
serata Maria e Gustavo, che in quei giorni viveva da noi, mi accompagnarono in
centro mostrandomi anche la vecchia università. Davanti all'elegante facciata scolpita
a sbalzo, come cesellata, voluta dal re Alfonso X nel lontano 1215, visitatori
occasionali e studenti a testa in su cercavano la rana portafortuna, nascosta
tra i particolari. Il detto diceva che chi fosse riuscito a vederla sicuramente
avrebbe superato gli esami in programma per l'anno.
Al ritorno ci fermammo al bar sotto
casa a bere qualcosa e provai il mio primo pincho. Era
uno stuzzichino di una pietanza a base di carne, pesce o altro che accompagnava
l'ordinazione di una qualsiasi bevanda. Ancora non sapevo che sarebbe diventata
una delle cose alle quali avrei legato per sempre il mio ricordo di Salamanca.
Tutto aveva avuto inizio quel 28 settembre 1996,
con il volo Milano Linate-Madrid Barajas delle 10.00. Per anni avevo pensato a
come rendere possibile quel viaggio, anche se non ne conoscevo la destinazione,
ne’ la
vera motivazione. Volevo andare, per me, per il mio orgoglio, che aveva gia’
sepolto un amore in cambio della liberta’ di
questo sogno.
Si chiamava
Davide, eravamo stati fidanzati per anni, ma al bivio del matrimonio a 22 anni o proseguire gli
studi e la speranza di realizzarmi professionalmente io avevo scelto
quest'ultima e lui alla prima occasione mi aveva lasciata.
Sull’aereo avevo
conosciuto una studentessa Erasmus come me che pero’ si fermava a Madrid per sei mesi. L’incontro era
stato provvidenziale: visto la mia capacità di espressione in spagnolo non sarei mai riuscita ad
arrivare cosi’ rapidamente a Salamanca se Cristina, cosi’ si chiamava, e un suo amico non mi avessero accompagnato in auto fino alla
stazione dei bus di Conde Casal. Non ci siamo mai piu’ rincontrate e purtroppo ben poco so di lei se non che
avrebbe studiato a Madrid.
Sono sempre
state le coincidenze fortuite a mostrarmi il cammino, quando non conoscevo il
sentiero.
Cosi’ era accaduto tre mesi prima con Anabel: avevo appena
saputo di aver vinto una borsa Erasmus dell’Unione Europea e incredula, dopo aver scrutato piu’ volte il tabellone con i nominativi dei vincitori, mi
ero precipitata dal professore che coordinava il progetto. Fu lui a presentarmi
Anabel, borsista Erasmus a Bologna, proveniente dall’Universita’ di Salamanca. Io neppure sapevo dove fosse Salamanca,
anche perche’ inizialmente avevo richiesto la borsa per Siviglia.
Che male c’era nel sognare
un po’! Ero stata ridicola la mattina dell’esame di ammissione. Glielo avevo detto io che non
sapevo nulla di latino al professore, ma ugualmente mi fece leggere Cicerone ed
improvvisai una traduzione con la sua gentile collaborazione. Per quanto
riguardava lo spagnolo, altro requisito per ottenere quella borsa, poche
nozioni imparate dal libro di un’amica il giorno prima mi bastarono per dare l’impressione di cavarmela.
Anabel fu la mia
ancora di salvezza: si rivelo’ subito disponibile e mi diede tutte le informazioni
di cui avevo bisogno sulla citta’, l’università, la facolta’ di Filologia, a cui anche lei era iscritta, ma
soprattutto mi aiuto’ a non cedere alla paura. Di che cosa? Paura di non
essere felice per un sogno che si puo’ realizzare, di scoprire che le novita’ spaventano, scuotono.
Davanti a un
caffe’ parlammo per ore e mi racconto’ un po' della sua storia:
appena arrivata
a Bologna visse in uno studentato dove conobbe il suo ragazzo, Antonio. Era molto dispiaciuta di dover ritornare in Spagna,
ma prima avrebbe trascorso le vacanze in Abruzzo, al paese del fidanzato. Era
piu’ giovane di me di un paio d'anni, ma molto piu’ determinata, sicura di se’ e delle proprie scelte, indipendente. Il suo aspetto
ricordava una ballerina di flamenco: lunghi capelli neri portati raccolti
dietro con uno spillone, occhi verdi e profondi, pelle olivastra
e orecchini di argento lavorato che
le pendevano alle orecchie e con un effetto simile a una danzatrice araba del ventre e una veggente che
legge la sfera di cristallo.
Era necessario
essere forti per porre davanti alla realta’, la mia famiglia o quel che ne era rimasto: sarei
andata a studiare a Salamanca, per l’intera durata del nuovo anno accademico, separandomi
da mia madre e mia nonna, entrambe vedove e sole, lasciandomi alle spalle i
miei doveri nei loro confronti, ma anche le delusioni d'amore e la frustrazione
di non essere riuscita a coltivare un rapporto migliore con mio fratello, ormai
distante e inavvicinabile, arroccato sulle sue posizioni.
Sì, io ero la
sorella maggiore e dunque avevo sempre percepito il ruolo di responsabilita’
nei suoi confronti che mi ero sobbarcata
da quando era nato, ma da qualche anno il nostro rapporto era irrimediabilmente
cambiato: io avevo vissuto una relazione totalizzante che lo aveva messo da
parte nel momento della sua adolescenza, proprio quando dopo la morte di nostro
padre, avrebbe avuto bisogno di una guida piu’ stabile. D'altra parte lui aveva preso ad escludermi
a voler essere piu’ adulto di quel che era spingendosi alla ribellione su
tutti i fronti: nel seguire altre compagnie, a fumare, forse anche a
impasticcarsi, a tornare all'alba dalle discoteche della riviera, chiudendosi
in camera con la musica tecno a tutto volume per evitare il dialogo, perdendo
ben due anni di studi alle superiori, scegliendo di stare con una ragazza madre
ex tossica, molto piu’ vecchia di lui.
Sì, avrei
abbandonato la mia famiglia e tutto il mio mondo per il desiderio egoistico di
scoprire cosa c'era al di la’ del mio paese, per trovare me stessa e per
dimenticare e allontanarmi dai problemi familiari che non riuscivo a risolvere
e da quell'opprimente realta’ provinciale che non mi dava piu’ stimoli.
Dopo aver rotto
il fidanzamento, il mio ex si era subito messo con un'altra e in un paesino di
provincia dove tutti conoscono tutti mi sentivo tradita dalle stesse amiche e
vittima di sguardi compassionevoli. La spinta a dar prova di trasgressione, a
diventare diversa dopo essere stata respinta mi portava giorno dopo giorno
sempre piu’ lontano da quel che ero e volevo veramente.
Dovevo
ricostruire la mia persona acquistando consapevolezza della mia interiorita’ ferita, ma anche del mio valore prima di
autodistruggermi rimanendo ancorata al passato e deprimendomi per la perdita
del mio primo importante amore.
Per questo ero venuta a Salamanca!